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Infiltrazioni endoarticolari

Dott. Paolo Tamaro • 14 febbraio 2025
Mano tiene tecar su caviglia

Ecco una pratica medica che non passa mai di moda. Nelle articolazioni (in particolare spalla e ginocchio, più facilmente accessibili) sono state iniettate sostanze di vario tipo, più di tutte le corticosteroidee, mentre recentemente l’acido ialuronico viene visto come sostanza preferita. Certo dipende dalla patologia in essere e dai risultati attesi; se il dolore è molto forte o il risultato deve essere ottenuto in tempi brevi, ad esempio per un viaggio importante, indubbiamente i farmaci corticosteroidei sono una scelta valida, purché le infiltrazioni siano eseguite in numero molto limitato, direi massimo una o due l’anno, in quanto a dosi eccessive hanno un effetto lesivo per i tessuti. L’acido ialuronico sta dando risultati molto validi, non è adatto ad articolazioni infiammate (è buona norma in tal caso farlo precedere da una terapia fisica, in primis il TECAR), ma crea con la sua azione fisica una lubrificazione che dà benessere che consente alla cartilagine di rigenerarsi, ove possibile; inoltre gli ultimi studi gli attribuiscono proprietà biologiche di rigenerazione meniscale, anche queste limitate a casi ove la lesione sia lieve. Esistono anche infiltrazioni di sostanze fitoterapiche ed emoderivati, di cui non mi occupo e che sono una piccolissima quota, al momento, delle sostanze usate intrarticolarmente.

Le infiltrazioni endoarticolari quindi non sostituiscono la fisioterapia, ma sono un valido aiuto alla conclusione di essa per aumentarne la durata o all’inizio per renderla più agevole, a giudizio del medico fisiatra


Dott. Paolo Tamaro

calcificazione spalla
Autore: Dott. Paolo Tamaro 14 febbraio 2025
Nei tessuti molli, in particolare a livello di spalla ed anca, è molto comune trovare delle calcificazioni , depositi cioè di sali di calcio che sono dovuti ad infiammazioni prolungate, microtraumi, lesioni muscolo-tendinee . Il livello di fastidio che possono arrecare è molto variabile, in particolare in fase “molle” possono essere molto dolorose, ed in questa fase è indicata la litoclasia, cioè una tecnica di ago-aspirazione rigorosamente ecoguidata (in genere la pratica proprio il radiologo interventista) che consente di aspirare parte della calcificazione, simile per consistenza in questa fase ad un dentifricio. Ovviamente quando la calcificazione evolve non può essere aspirata, in questi casi sono di grande aiuto le onde d’urto, in genere focali, che consentono di limarla e talora di frammentarla. Bisogna però considerare che quasi sempre la calcificazione è parte di un quadro più ampio, per cui spesso il trattamento solo eseguito con onde d’urto o litoclasia non toglie il dolore, ma bisogna andare ad agire anche su altre strutture tendinee, borsali, capsulari, ecc, a giudizio del medico fisiatra che prescrive la riabilitazione . Spesso è molto utile un ciclo di massoterapia alla muscolatura del cingolo scapolare o pelvico, che permette di ridurre l’azione di torchio sull’articolazione ed a livello tendineo. Dott. Paolo Tamaro
gomito del tennista, epicondilite
Autore: Dott. Paolo Tamaro 2 dicembre 2024
Conosciamo questo grosso fastidio anche come gomito del tennista . In realtà, nella mia più che trentennale esperienza come fisiatra, ho visto epicondiliti tanto nei tennisti che in chi non pratica questo sport. L’epicondilo è una sporgenza ossea sul gomito, una delle due, perché’ sul latto opposto c’è l’epitroclea, che è responsabile delle epitrocleiti, meno frequenti delle epicondiliti. Su questa sporgenza si inseriscono molti muscoli tutti piuttosto potenti, che danno movimento principalmente alla mano. La notevole forza applicata su un piccolo punto determina nel tempo, per sforzi ripetuti o per singoli sovraccarichi, uno stato su sofferenza dell’epicondilo , o meglio di un tessuto sottile che lo avvolge e che si chiama entesio (tecnicamente l’epicondilite è un’entesite). Dai piani superficiali poi l’infiammazione di estende all’osso, determinandone un edema o, nei casi estremi, una necrosi. L’epicondilite può passare spontaneamente nei primi giorni o nelle prime settimane col solo riposo o l’applicazione di un pressore che si acquista nelle Sanitarie. Trascorso un lasso di tempo maggiore, però, è mia esperienza che senza un approccio fisioterapico difficilmente passerà. Ho trattato casi che si pertraevano per anni. Il fisiatra è il medico che prescrive la fisioterapia, la prima cosa che verificherà è se prevale la contrattura muscolare o l’infiammazione dell’epicondilo, valuterà la mobilità del gomito, e quindi prescriverà una terapia antiflogistica a livello di epicondilo (laser, Tecar) o una terapia manuale miofasciale sulla muscolatura interessata. Nei casi in cui si presentasse una necrosi, purtroppo spesso è necessario inviare il paziente all’ortopedico per valutare l’intervento chirurgico. Da evitare le infiltrazioni corticosteroidee in quanto spesso risolvono il problema solo temporaneamente e danno una falsa sensazione di benessere per cui il paziente inconsapevolmente sforza di più il gomito. Dott. Paolo Tamaro
edema osseo
Autore: Dott. Paolo Tamaro 7 ottobre 2024
Un dolore protratto a lungo, gli esiti di una immobilizzazione associata ad una insufficiente mobilizzazione successiva, sovraccarichi strutturali, solo per citare alcuni esempi, possono portare ad una situazione in cui all’interno dell’osso troviamo una demineralizzazione localizzata associata ad un essudato interno all’osso . In certi distretti corporei tale patologia è più insidiosa, ad esempio sul piatto tibiale può causare fratture per indebolimento dell’osso. Va quindi considerata con attenzione, il sospetto clinico va appurato con una risonanza magnetica, anche se in quadri clinici più avanzati tali edemi possono essere visti, in taluni distretti corporei, anche con una radiografia. L’ edema osseo può interessare, ad esempio, una vertebra, in seguito ad una situazione infiammatoria che non ha trovato soluzione, spesso lo ritroviamo nel polso dopo fratture anche non complesse, ma che dopo la rimozione del gesso abbiano avuto un tempo troppo lungo di inerzia prima dell’inizio della mobilizzazione o quando il paziente, talora per timore, tenga l’arto troppo a riposo e lasci il compito di mobilizzarla soltanto al fisioterapista. Un’espressione avanza della situazione che porta all’edema osseo è l’algo-neuro-distrofia, che all’edema associa arrossamento, calore cutaneo e forti dolori. L’edema osseo o le sue espressioni più avanzate è meglio prevenirle che curarle : mobilizzazioni articolari corrette ed eseguite nei tempi giusti, educazione del paziente, cure opportune quando i dolori si protraggono, sono ottime prassi. La terapia consigliata può essere molto variabile a seconda dell’espressione della patologia, indubbiamente aiuta la magneto-terapia, la TECAR, le terapie sistemiche osteotrofiche. Indispensabile una corretta mobilizzazione passiva ed attiva. Dott. Paolo Tamaro
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